Sono rimasta indietro ma ecco che recupero, ho letto tutti i vostri commenti e sono interessantissimi.
Parto dal video che ha postato Beatrice. Il dilemma di studiare il dilemma etico dal vivo.. mi ricorda un po' il dilemma in campo medico che impedisce di studiare approfonditamente l'effetto placebo: è etico fornire medicinali che non funzionano per il bene della scienza e di altri pazienti, a rischio di quel paziente? Come Guido ero in ansia solo a vedere il video, poverini!
Avete già parlato approfonditamente del ruolo dell'istinto e  delle emozioni. Mi trovo d'accordo con Guido: facendo pratica (come in una prova antincendio), creiamo delle connessioni neuronali che influenzeranno la nostra futura azione e quindi agiremo, come ha detto anche Mattia, come automi facendo quello che abbiamo imparato. Però con l'emozione come fattore fondamentale per renderci reattivi e pronti ad agire. Pensavo si trattasse di allenare semplicemente la reazione istintiva, e invece leggendo l'articolo che ha linkato Guido ho scoperto che si tratta di farla lavorare bene con quella emotiva, interessante!
Non so voi, ma a me capita spesso di immaginarmi una certa situazione, e di farmi un film mentale su come agirei/risponderei, e certe volte mi è stato d'aiuto!
In merito alla DDE vorrei rispondere a Kheper che dice che è solo un modo per giustificare la propria azione. Capisco questa visione e in parte sono d'accordo, ma allo stesso tempo mi rendo conto che ragionare in questo modo è fondamentale per poter vivere, perché qualsiasi nostra azione, anche piccola, influenza qualcosa (come la storia delle patate di Beatrice o la questione della beneficenza della Foot) per cui dobbiamo sempre scegliere il male minore e giustificarci, è inevitabile, ritengo che si debba imparare a conviverci.
Interessante la tesi di Piripicchio sul linguaggio, anche se parlerei in toto del contesto culturale, come spiegano Guido e Mattia.
D'accordo con Bibi e Mattia, io non spingerei mai l'uomo grasso, anche se si trattasse di salvare molte persone. Bibi ha spiegato bene il concetto: quell'uomo non c'entra niente, come non c'entro io, non siamo coinvolti nella situazione. Quando mi trovavo sul tram e dovevo manovrare le leve sia io sia tutti gli uomini sui binari eravamo coinvolti nel problema, anche il singolo legato che decidevo di sacrificare. Se invece siamo sul ponte, stiamo all'esterno, è diverso. Non so se è la questione dell'introduzione della minaccia di cui parlano i filosofi.
In seguito a queste considerazioni mi viene da pensare che il principio morale che uno adotta sia legato alla sensazione di sentirsi al sicuro, in modo molto egoistico, avrebbe senso anche con il modo in cui si è formata la morale descritto nel libro di Harari citato da Mattia. Non voglio che esista la tortura né la pena di morte, perché non vorrei mi venissero inflitte. Se accettassi l'esistenza della pena di morte potrei trovarmi a doverla subire. Quando parlo con persone che sono a favore di tortura o pena di morte, spesso mi rendo conto che queste persone non concepiscono il fatto che pure loro potrebbero commettere dei reati e quindi subire quelle pene, perché si credono moralmente così superiori da non poter in nessuna situazione commettere un reato. Persone invece che tendono a immedesimarsi di più in tutte le situazioni e quindi non escludono a priori la possibilità, sono di solito contrarie (questa è la mia esperienza, magari potete contraddirmi). Si tratta forse dello "spazio morale che gli altri non sono autorizzati a invadere" di cui parla la Foot. Quindi sì, sono d'accordo con Piripicchio, è solo una questione culturale, però come dice Mattia anche per me la tortura è sbagliata, perché vorrei un mondo in cui non esistesse, anche se sono condizionata dal mio contesto culturale.
In merito al dilemma proposto da Kheper sulla scelta di chi investire.. Non so se sarebbe possibile programmare una cosa simile, ma vorrei che dipendesse dalle regole del codice della strada. Ad esempio, se sto per investire delle persone ma queste stanno in mezzo alla strada dietro la curva come delle pecore, che vengano investite. Se sono io che sto correndo troppo in macchina o sono ubriaca, allora devo morire io (ma questo non può accadere se l'auto è autonoma). Infatti durante una conferenza ho sentito dire a degli esperti che le macchine a guida autonoma sarebbero fattibili al 100% in un contesto isolato in cui solo esse circolano, in cui non c'è la variabile del pedone che finisce in mezzo alla strada o dell'autista ubriaco.
Il senso per me è: se mi sto comportando bene, sono prudente e tutto, non mi merito di morire per le disattenzioni degli altri! Riguardo al profilo etico proposto da Guido, ha senso! Ma non so se potrei decidere così a cuor leggero di lasciarci le penne.    
            
            
            "Sentii un peso intollerabile opprimermi il petto, l'odore della terra umida, la presenza invisibile della corruzione vittoriosa, la tenebra di una notte impenetrabile..."
Joseph Conrad, "Cuore di tenebra"