Quatta quatta, vado avanti anche io, due o tre capitoli la sera prima di dormire! La storia è molto coinvolgente, la traduzione di Einaudi diretta, ma comunque più di qualche capitolo al giorno non leggo perché le vicissitudini sono tante e mi "riempiono" parecchio. Come faceva notare Guido, questo libro è l'analogo di una serie TV di oggi!

E come per tutte le mie maratone, mi devo fermare spesso.
Intanto sono molto contenta trovare in questo romanzo un quadro sociopolitico molto ampio, e ben descritto. Oserei dire addirittura informativo, perché per come Dumas fa il punto della situazione si riesce a seguire tutto anche se gli eventi storici in questione sono un po' passati di mente dai tempi della scuola. La storia, inoltre, per come la "gioca" Dumas, è quasi un personaggio al pari degli altri, perché con i suoi giri e rigiri cambia le sorti: agisce, si muove, ha vita, interagisce coi protagonisti. Villefort, con i suoi cambi di casacca, è forse l'esempio migliore, ma un po' tutti cambiano aria e sorte in questa epoca di grande instabilità politica (vedi il
capitolo XIII).
Per il resto, concordo con diverse vostre osservazioni, a cominciare dal temperamento di Dantès: non è un puro di cuore, ma un ragazzo giovane, diretto e inesperto. La scarsa malizia gli impedisce di vedere i cattivi intenti, ma anche, banalmente, di immaginarsi sin dove possono arrivare le persone senza scrupoli. Per esempio, è abbastanza ricettivo da accorgersi della malevolenza di Danglars e di Fernand, ma non dà loro troppo peso... questo un po' per inesperienza, un po' perché viene travolto davvero dall'imponderabile. Voglio dire, chi se lo sarebbe aspettato al posto suo?
Concordo anche col lungo intervento di Maria Luisa, è stato straziante vedere Edmond consegnarsi fiducioso alla giustizia per venire tradito così: un agnello sacrificale. Fa una pena indescrivibile.
Ma in tutto questo ieri sera sono arrivata al
capitolo XV, in cui il nostro fa una conoscenza nel posto più improbabile. E dopo questa vaga avvertenza, spoiler.
Entra in scena un personaggio che conoscevo solo di fama, l'abate Faria (nella tradizione Einaudi: Don Faria). Si tratta di un erudito italiano con cui Edmond stabilirà un preziosissimo rapporto allievo-maestro, e sono molto curiosa di vedere come si svilupperà. Nel capitolo XV i due si incontrano, anche se separati dalla parete della cella, che però entrambi stanno scavando.
Altre cose che mi hanno colpito di Dumas leggendo questi ultimi due capitoli (XIV e XV): l'abilità nel narrare degli stati d'animo dei personaggi, e del loro altalenare (esempio perfetto: lo sprofondare nella depressione di Edmond Dantès e poi la ripresa nel momento in cui individua un nuovo scopo), e l'attenzione al linguaggio del corpo. Quando Faria viene introdotto, l'autore sottolinea più volte che il prigioniero non è pazzo, o almeno, può sembrarlo, date le cose che dice, ma scrutando a fondo nel suo sguardo un interlocutore senza pregiudizi o interessi riuscirebbe a capire che sta dicendo la verità. Osservazioni simili le ho notate quando altri personaggi-osservatori (Villefort, l'ispettore del castello di If) hanno avuto a che fare con Dantès, capendo al volo che si trattava di una persona buona e priva di malizia. Questo significa prestare molta attenzione alla comunicazione "istintiva", pensiamo a quando le persone ti fanno una certa impressione per lo sguardo, il tono di voce ecc... poi ciò non toglie che, di fronte agli interessi personali, questi "dati" vengono scartati, perché alla fine ciò che conta spesso è la nostra personale agenda: come abbiamo deciso di trattare quella persona, o come le circostanze ci impongono di fare.