Ciao a tutti
oggi mi sono dedicata un po' alla nostra autrice dell'anno.
Ho letto i primi tre racconti e confrontarmi con i vostri commenti è stato molto bello, mi avete praticamente spianato la strada, grazie!
Il primo racconto
La macchia sul muro è quello in cui ho segnato più cose. Devo ammettere che a una seconda rilettura tutto risulta più chiaro, quindi rileggo due tre volte lo stesso racconto.
La prima cosa che ho segnato è una frase che sembra fatta a posta per Virginia, che si perde di continuo in riflessioni di ogni tipo
"Come fanno in fretta i pensieri a sciamare intorno a un nuovo oggetto, sollevandolo appena, come formiche che trasportano febbrilmente un filo di paglia, che poi abbandonano…"
Mi è piaciuto molto il modo in cui utilizza i fiori, i garofani rossi collegati alle labbra della donna ritratta nell'ipotetico quadretto appeso al muro, che simboleggiano l'amore profondo e l'affetto, e dopo, qualche riga più avanti, gli asfodeli che sono riconducibili al regno dei morti.
Ho letto in giro su internet che Virginia amava molto stare in giardino e in generale i fiori.
La frase da voi citata
"Potrei alzarmi, ma se mi alzassi e andassi a vedere, scommetto dieci a uno che non sarei in grado di dirlo con certezza, perché una volta che una cosa è fatta nessuno sa dire come è accaduto" l'ho interpretata come Francesca e Bea, preferisce rimanere seduta a fantasticare da lontano sull’origine della macchia piuttosto che alzarsi e andare a vedere da vicino e scoprire poi di rimanere delusa perché non riesce a spiegare l’origine della macchia. Come se le ipotesi, le fantasie fossero meno deludenti della realtà. O come se l'atto volontario di alzarsi possa mettere fine alle fantasie in cui lei invece vuole rimanere.
L'altra frase citata da Greta la mia edizione la traduce così:
“Ma dopo la vita. Il lento strappo dei grossi steli verdi finché il calice del fiore, capovolgendosi, ci inonda di luce rossa e purpurea” quindi, essendo il calice una parte del fiore, l'ho interpretata proprio come un fiore che appassisce e muore, anche perché il contesto in cui viene inserito parla comunque di morte.
Mi è piaciuto molto anche l’intervento a sfondo femminista che avete già citato è che riporto perché ricordare certe cose non fa mai male:
“Il punto di vista maschile che governa le nostre vite, […] quel punto di vista che — immagino — dopo la guerra è diventato un mezzo fantasma per molti uomini e donne e presto, si spera, verrà deriso e gettato nell’immondezzaio, dove finiscono i fantasmi, le credenze di mogano e le stampe di Landseer, dei e demoni, l’inferno e così via, lasciandoci tutti con un inebriante senso di illecita libertà — ammessi che la libertà esista.”
Il mio preferito però resta questo passo:
“Una a una le fibre si spezzano sotto l’immensa pressione fredda della terra, poi viene l’ultima burrasca e, cadendo, i rami più alti ritornano di nuovo dentro la terra. Anche così la vita non è finita; per un albero, ci sono ancora milioni di vite pazienti e vigili in tutto il mondo, nelle camere da letto, sulle navi, sui marciapiedi o in stanze private, dove uomini e donne siedono a fumare dopo il tè.” Mi piace l’idea che il legno continui a vivere nonostante sia “morto”, in forme nuove e nuovi utilizzi.
Guardate una piccola lumachina a quante riflessioni ci ha portate.
Il secondo racconto,
Kew Gardens mi è sembrato una cartolina.
Bellissimo il modo in cui Virginia riesce ad immedesimarsi nella natura e a farti vivere persino il colore dei fiori.
Molto carine le diverse scene delle coppie ma io mi sono innamorata di uno spezzone della prima:
“Tirai fuori l’orologio e stabilii l’ora in cui mi sarei concessa di ripensare a quel bacio per cinque minuti soltanto — era così prezioso — il bacio di una vecchi con i capelli grigi e una verruca sul naso, la madre di tutti i baci della mia vita”, mi ha fatto pensare al bacio di una nonna alla sua nipotina e mi ha commossa.
Il terzo racconto,
Oggetti solidi mi lascia un po’ perplessa.
Non so, sembra quasi che il protagonista all’improvviso veda nel suo lavoro, qualcosa in cui non crede più, qualcosa in cui non si riconosce più, non più un punto solido della sua vita.
Non so perché il raccogliere “scarti” riesca a dargli soddisfazione. Lo vediamo persino rinunciare a una riunione di lavoro per andare a prendere un pezzo di ceramica dalla forma particolare.
L’immagine delle varie pietre che in un certo senso sovrastano le pratiche di lavoro mi è piaciuta.
Alla fine del racconto, quando viene quasi abbandonato dall’amico, anche lui mi è sembrato un pezzo di vetro proveniente chissà da dove, il resto di una ceramica rotta, o un meteorite, che altro non è che una stella morta.
Se penso ai cocci mi viene in mente l’idea di un unico pezzo superstite di qualcosa che prima era intero, e forse gli scarti che raccoglie non sono altro che metafore della sua stessa vita: un uomo che è quasi all’apice della sua carriera ma che però decide di rinunciare.
Mi sento stordita più dalle mie riflessioni che dalla scrittura della Woolf e la cosa è grave!