"Il desiderio di essere come tutti" di Francesco Piccolo.
Vincitore del premio Strega nel 2014, la quarta di copertina lo presenta così:
I funerali di Berlinguer e la scoperta del piacere di perdere, il rapimento Moro e il tradimento del padre, il coraggio intellettuale di Parise e il primo amore che muore il giorno di San Valentino, il discorso con cui Bertinotti cancellò il governo Prodi e la resa definitiva al gene della superficialità, la vita quotidiana durante i vent’anni di Berlusconi al potere, una frase di Craxi e un racconto di Carver…
Se è vero che ci mettiamo una vita intera a diventare noi stessi, quando guardiamo all’indietro la strada è ben segnalata, una scia di intuizioni, attimi, folgorazioni e sbagli: il filo dei nostri giorni. Un romanzo personale, divertente, politico e provocatorio che racconta il viaggio – accidentato e affascinante – che tutti immancabilmente intraprendiamo per incontrare chi diventeremo.
Per me, per niente appassionata nè di letteratura italiana in generale nè soprattutto di quella contemporanea, questa è stata una lettura sorprendentemente molto bella. Sembrerebbe un romanzo- biografia di impronta politica, ma non lo è: è un romanzo forse più storico, in quanto spiega benissimo le cause-effetto degli eventi che ci hanno portato alla situazione attuale, in modo veramente illuminante, ma è soprattutto veramente un romanzo su come si costruisce la propria identità riflettendo su quel che piace, su quel in cui si crede. Infatti Piccolo parla con ironia delle tante contraddizioni dei partiti comunista e socialista e di coloro che credevano in essi, lui stesso, quindi non vuole essere un manifesto politico, quanto invece una descrizione dello stato d'animo che suppongo molti di noi abbiamo vissuto almeno una volta, ovvero chiedersi cosa è che è giusto, cosa è che ha senso, in cosa si crede, chi si vuole essere. Ma senza pesantezza, tutt'altro
A pagina 41 il protagonista, ragazzo, è da poco diventato comunista dopo aver visto la partita dei mondiale del '74 Germania dell'est contro Germania dell'ovest, e il protagonista riflette su come il padre non riesce ad accettare questa cosa:
"Dirà: fai il comunista - non ce l'avrà con me, quando parlerà con il tu non ce l'avrà mai con me. [..] quando parlerà di altri comunisti, mi guarderà in faccia e dirà: fai il comunista e tieni due macchine, perchè non ne dai una a un operaio? - e so che non ce l'ha con me, perchè io due macchine non ce le ho, nemmeno una se è per questo, e perciò andrò a chiedergli le chiavi della macchina e lui dirà che faccio il comunista con le chiavi della macchina di papà. Invece, quando ce l'avrà con me, guarderà nel vuoto, come se stesse parlando di me a un altro, e dirà: fa il comunista, lui, e poi mi viene a chiedere le chiavi della macchina. Per mio padre, in modo ossessivo, e per tutta la vita, se uno è comunista non potrà mai chiedere le chiavi della macchina. E qualora dovesse avere una macchina, poi, il bollo lo dovrà pagare Berlinguer."