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Un'edizione fuori collana de Le nozze di Cadmo e Armonia si affaccia di tanto in tanto sui banchi fieristici, oppure occhieggia dalle vetrine polverose delle librerie di qualche antiquario. Una tiratura economicamente gravosa, perciò limitata, consta di 384 immagini tratte dalla storia dell'arte globale e intesse un discorso visivo e parallelo a quello testuale.

Comprenderai che oggi è dell'immagine che parleremo più a lungo. Visioni a sciami, come un'inedita piaga d'Egitto. Le abbiamo viste, ne La rovina di Kasch, scavalcare i giardini in disuso di Versailles, per dilagare tra i portici parigini di una società incamminata al consumismo: "Ogni immagine, slacciato il cinto zodiacale, vagabondava ora in città sempre più vaste, dimentica della sua tribù, pronta a farsi attirare, depredare ovunque: nei tinelli, nelle abbazie, nelle redazioni, nei mulini satanici, nelle rovine, nelle foreste americane, nelle periferie". (La rovina di Kasch, p. 363)

E ancora, abbiamo visto le immagini nei fitti geroglifici di Thomas Browne, incontaminate dalla spiegazione verbale.

Lettore, perdona questa ragnatela. Perdonala e, se puoi, cerca di abituarti: crescerà.

Le nozze di Cadmo e Armonia, seconda tappa de L'Opera senza nome, esordisce di corsa: lo fa con il ratto di Europa, strappata all'Asia dalla libidine di Zeus. Trasmutato in toro, il dio rapisce la fanciulla e l'abbandona sull'isola di Creta. La narrazione scorre limpida e piana, tanto che tu, Lettore, quasi potresti pensare di rilassarti, di trarre un sospiro di sollievo.

"Ma com'era cominciato tutto?", dice Calasso d'improvviso. E subito riavvolge la storia, subito rimescola il mazzo. Adesso non è più del rapimento che parla, ma dello strano sogno della notte addietro, quando due donne, l'Asia e l'Europa, si azzuffavano brutalmente per il possesso della principessa che l'indomani sarebbe stata rapita.

"Ma com'era cominciato tutto?" E indietro di nuovo, come se le varianti, le versioni, i punti di vista potessero puntellare la fragile, magnifica impalcatura delle storie. E attorno a questa narrazione compulsiva, per coloro che hanno la fortuna di sfogliare l’edizione illustrata, una pletora di Europe e tori schiumanti.

Seguendo la scia di simboli che strisciano ovunque – il toro, la corona, l'acqua sorgiva – Calasso percorre le fonti mitologiche, tesse, disfa e ritesse come Penelope. La rovina echeggia il suo anacronismo nelle Nozze, che inglobano nella rete del mito anche la storia coeva e il nostro presente. Soltanto alla fine abbiamo le fonti. Nessun numero di nota a interrompere la rapsodia dell'autore.

"Ma com’era cominciato tutto?" 1898. Aby Warburg e André Jolles visitano la Cappella Tornabuoni. Di fronte alla Nascita del Battista del Ghirlandaio, l'occhio dei due se ne scappa ai margini, sull'incedere di un'ancella in azzurro, un piatto di frutta sul capo. Nella cerimoniale immobilità della scena, essa è vento, sconvolgimento. Warburg, che sta studiando la sopravvivenza dell'antico, è irrimediabilmente infatuato: «Ma davvero questa pianta così strana e delicata ha le sue radici nel sobrio suolo di Firenze?» (S. Settis, T. Montanari, Arte. Una storia naturale e civile. Dal Quattrocento alla Controriforma, p. 249) Per chi non conoscesse Warburg, è a lui che dobbiamo in gran parte l'iconologia, lo studio delle immagini nei loro significati culturali. Sappiamo che il vortice dei simboli e delle analogie lo portò a parlare di pathosformel, "formula di pathos", ovvero l'archetipo visivo che ciclicamente si ripresenta ai nostri occhi; sappiamo che dedicò anni importanti a Mnemosine, un compendio inconcluso di scatti tratti dalla storia dell'arte globale (sì, come l'edizione fuori collana de Le nozze). Sappiamo anche che la ninfa è il fiore all'occhiello di questo compendio e che Warburg trascorse molto tempo nella clinica per schizofrenici di Binswanger. Calasso ce ne parla in una breve lezione del 1992, La follia che viene dalle ninfe. La ninfa che si ripete sotto un altro aspetto, Lolita, nella mente disturbata di Humbert Humbert.

"Ma com'era cominciato tutto?" Non è possibile una risposta certa, vista la concezione ciclica che Calasso ha della Storia: "Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre", esordisce la citazione sallustiana nell'incipit de Le nozze di Cadmo e Armonia. Certo, si respira subito un'atmosfera più fumosa e rallentata, segno che gli dèi ci sono ancora, sebbene per poco. Zeus ha due maniere per imporsi sull'essere caduco che è l'essere umano: o lo rapisce, o abusa di lui. E sceglie di farlo in forme sempre diverse, giacché il dio non è esplicito, il dio è mentale, lo si deve riconoscere dentro noi stessi. Già i figli di Licaone, che gli servono carni di bambino per provare la sua onnipotenza, non credono più in lui. Zeus lo comprende e irato rovescia la tavola, che è anche la linea dell'ellittica del nostro mondo: qualcosa cambia per sempre, il dio non scenderà più tra gli uomini ingrati. E ora?
"Noi non dobbiamo rimpiangere troppo di aver perduto molti segreti del mito, anche se dobbiamo educarci a percepirne la mancanza, il vasto indecifrato. Sarebbe come pretendere di vedere, alzando lo sguardo alla volta celeste, sette Sirene che intonano ciascuna una nota intorno a ciascuno dei cieli. Non solo non vediamo le Sirene, ma non distinguiamo più i cieli.
Eppure." (Le nozze di Cadmo e Armonia, p. 315).

Gli dèi, dice Calasso, sono migrati altrove. Sono nella bellezza degli attori – e non è un caso che l'edizione illustrata presenti una foto di Rita Hayworth; languono nella tirannia del Grande Animale sociale, crudele narcisista che, al suo peggio, può imporre una linea che l'autore fa iniziare con la Sparta belligerante e concludersi con la Germania di Hitler. Da qualche parte, nella nostra testa logica, la pathosformel del divino ancora bisbiglia.

All'attacco di Tifeo, gigante ribelle, gli dèi dovettero fuggire in Egitto. Lo fecero assumendo aspetto animale, così che "avrebbero potuto mimetizzarsi fra centinaia e migliaia di altri ibis, sciacalli, cani" (p. 422). Allo stesso tempo (nel mito è sempre allo stesso tempo), Cadmo rinunciava a trovare la sorella Europa, rapita dal dio, e fondava una città in cui "il calcolo fissava i punti"; Edipo imponeva la propria logica sul mistero della Sfinge. Si abbandonava l'irrazionale, il mostro, il sacro. Nasceva il metro della modernità.
"Cadmo guardò la città compiuta come un giocattolo nuovo e pensò che ormai si potevano celebrare le nozze" (p. 430)
Una festa imponente, gli dèi scesero ancora, vi presero parte. Fu l'ultima volta.
Ed è l'ultimo capitolo del libro.

 

Bibliografia:
Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1988 (ed. 2021).
Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia. Edizione illustrata, Adelphi, 2009 (fuori collana).
Roberto Calasso, La rovina di Kasch, Adelphi, 1983 (ed. 2021).
Roberto Calasso, La follia che viene dalle ninfe, Adelphi, 2005 (ed. 2013).
Salvatore Settis, Tommaso Montanari, Arte. Una storia naturale e civile, Einaudi Scuola, 2019.
Elena Sbrojavacca, Letteratura assoluta. Le opere e il pensiero di Roberto Calasso, Feltrinelli, 2021.

 

(articolo a cura di Sharon Tofanelli)

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