Ho recuperato i vostri commenti, molto interessanti! Riguardo il personaggio di Jean, mi sembra che abbiamo tutti avuto quest'impressione, che rappresenti un'apertura per Thérèse, una sorta di squarcio nella vita che (non) sta vivendo. Interessante secondo me, ma l'ho già detto, che questo incontro tuttavia non rappresenti una liberazione bensì un'ulteriore frustrazione, che acuisce il malessere. L'immagine della famiglia come "gabbia umana" è molto angosciante ma anche vera, specialmente nelle epoche e nei contesti in cui davvero hai poca scelta e sei ridotto a un'asset dell'impresa, per fare un paragone un po' arido. Curiosamente, infatti, anche se la famiglia è benestante, questa non è garanzia di stabilità, anzi: perché la conservazione della proprietà diventa un'ossessione. Rivelatoria a questo proposito la prima accusa che Bernard farà a Thérèse nel loro confronto, al capitolo IX (seguono spoiler sia sul capitolo IX che sul finale).
Come avevamo già intuito, ci troviamo in un contesto talmente arido di attenzione verso l'interiorità e le emozioni che non si può fare altro che razionalizzare. Come soffre, subito, Thérèse, perché nessuno e men che meno Bernard si azzarda a chiederle perché ha fatto quello che ha fatto. E lei che si è preparata tanto, durante il viaggio. Non aspetta altro. Non che lei abbia le idee più chiare, solo qualche sprazzo, ma non le è permesso neanche di rielaborarle, perché è un argomento tabù. E così si preclude ogni forma di conoscenza intelligente, profonda. Perché c'è un limite a quanto un uomo o una donna, soli, possono rielaborare, anche con tutta l'intelligenza del mondo. La condivisione è un elemento essenziale. Credo che sia così che si alimenta il circolo vizioso.
Marco ha riportato dei bellissimi spunti di riflessione in più condividendo le parole di Mauriac su Thérèse e dandoci più contesto, ecco io quello che avverto nei passi scelti è di nuovo un lancinante senso di solitudine e di fatica a trovare "il punto", e penso sia da questa dinamica che risulta quel senso di inaccessibilità che abbiamo avvertito in Thérèse. Credo che in quest'opera Mauriac abbia saputo riversare tutta l'inquietudine di questo nodo non sciolto. Si vede, comunque, che siamo nel secolo della psicanalisi... il primo coraggioso, inquieto tentativo di sondare l'insondabile.

Pur se ancora lontano dal finale di questo romanzo mi sento di dire che Therese, nel modo come risolve il fallimento con il tentato avvelenamento di Bernard, sperimenti una reazione contraria a quella cultura del bovarismo, di cui è preda Emma, dalla quale non si lascia influenzare, non rifugge la realtà, né vi si adatta, al contrario reagisce e il veleno risulta forse l'arma con cui affronta il nemico e non se stessa, quel conformismo esasperato, quella eccessiva pressione sociale, incarnati dal marito e dalla famiglia che la tengono in gabbia al pari di Emma, ma una diversa risposta sperimentano entrambe: Therese una certa resistenza mentre Emma una fatale rassegnazione.
Ho letto Emma Bovary molti anni fa, mi sa che ero troppo giovane, non mi piacque e di conseguenza me lo ricordo anche poco. Ma quello che dice Vincenzo qui rinforza la mia associazione tra Thérèse e la psicoanalisi: c'è un'attenzione verso la resistenza, un tentativo d'indagine su "quello che non va". In quanto primo contatto con l'ombra, l'inquietudine è fortissima. Ciononostante (anzi, forse a maggior ragione), il solo fatto di provare a guardare mi sembra eroico.