Ho letto questo libro in soli due pomeriggi: troppo breve, ma anche troppo avvincente la narrazione per soffermarmi a trascrivere le mie momentanee impressioni. Oltretutto, non sono molto portato ad un’analisi del testo così precisa e puntuale come quella proposta e attuata da Marco e Vincenzo, mentre più spesso avverto il bisogno d’avere una visione d’insieme per poter esprimere un parere con una minima cognizione di causa.
Mai come questa volta mi pare tuttavia di riscontrare tanta uniformità di impressioni: il valore di quest’opera, nella sostanza come nella forma, è d’altronde altissimo e indiscutibile. Inutile quindi a questo punto aggiungere quanto anch’io l’abbia apprezzata: è senz’altro una delle più belle letture che abbia mai fatto e ringrazio vivamente Vincenzo per averla proposta: sapevo chi fosse Mauriac, ma ancora non avevo avuto modo di saggiarne le capacità di narratore.
Mi ha tuttavia incuriosito quel che domandava Greta in (apparente) OT : "avete notato delle differenza tra i personaggi femminili di scrittori uomini e quelli di scrittrici donne"?
Personalmente, come Francesca (Nautilus), “non ne farei una differenza di genere, ma di sensibilità dell'autore”. Anche perché, diversamente, potrei pensare che una scrittrice non possa a sua volta rappresentare “correttamente” un personaggio maschile, e questo finirebbe per inficiare il valore di qualsiasi opera letteraria in cui tra personaggio e autore non vi sia corrispondenza di sesso.
A questo riguardo, cercando in rete, ho comunque trovato un parere certamente più autorevole del mio. Riporto un estratto:
"A sentirsi chiamare
scrittrice, Elsa Morante si sarebbe offesa non poco. Una volta si rifiutò addirittura di partecipare a un’antologia di poesie femminili. L’idea che esistesse una letteratura maschile da una parte, e una femminile dall’altra le è sempre sembrata un’immensa cretineria, se non un insulto. […] La Morante non scrive «al femminile», non aderisce a quella che diventerà la «cultura della differenza» perché la cultura è un campo troppo vasto per accettare perimetri e recinti. Se la femminilità interviene nella scrittura, il suo intervento non è programmato, né auspicato, né celebrato, né voluto. I maestri della Morante sono tutti uomini: «Omero, Cervantes, Stendhal, Melville, Čechov, Verga». Ma, sotto questo aspetto, potrebbero essere anche donne o perfino animali. […] La realtà – ciò che conta in quanto vero – è la qualità della scrittura, è solo ed unicamente il testo; e il testo, quando è letteratura, ha il potere di svincolarsi dalle determinazioni storiche, nazionali, e biologiche a maggior ragione".
Più avanti, nello stesso articolo, si osserva anche come la Morante – pur non avendo avuto figli – abbia messo la maternità al centro delle sua opera: tutti i personaggi femminili dei suoi romanzi sono infatti delle madri. E allora, tornando alla domanda di Greta, mi chiederei: è possibile rappresentare correttamente la maternità per chi non l’ha mai provata?
Ricordo infine come in
Una stanza tutta per sé la stessa Virginia Woolf ponesse una correlazione tra letteratura e mente androgina, sostenendo che la riuscita di un romanzo dipendesse dalla perfetta armonia o fusione tra la parte maschile e femminile della mente artistica. E sensibilità o mente androgina non sono forse la stessa cosa?
Tornando invece a Therese Desqueyroux, abbiamo tutti notato come la ricerca di sé del personaggio sia finita in contrasto con la famiglia, portatrice di valori comunemente chiamati "convenzioni sociali". Sotto questo aspetto, il bel post di Giami ha confermato l’attualità del romanzo.
E allora mi chiedo: ma quando ci sorprendiamo dei pensieri e soprattutto dell'apparente remissività o apatia di Therese, siamo davvero così sicuri di non poterla comprendere?
Mi scuso infine se non ho messo "like" ai vostri interventi: ne avrei dovuti mettere troppi, ma ringrazio comunque tutti voi per quanto avete scritto