Terza parte conclusa.
Poco da aggiungere ai vostri commenti, che trovo esaustivi. Solo un paio di annotazioni personali, la prima delle quali riguarda la questione del duello. Al contrario di Beatrice - ma anche di Giorgia - non credo che Karenin dimostri in questo caso d'essere migliore rispetto a Vronskij. La sua rinunzia non è infatti dettata da ideali morali o religiosi, quanto da mero opportunismo e da una viltà di fondo che Tolstoj non cela, ma anzi sottolinea più volte. Certo, il duello non è una soluzione razionale, ma Karenin si guarda comunque bene dall'affrontare la realtà, tanto da non riuscire neppure a guardare Anna negli occhi, mentre le detta le sue condizioni.
Quanto a Levin, a me ricorda tanto il Pierre di Guerra e Pace, con gli stessi dubbi, le stesse insicurezze, gli stessi facili entusiasmi e i repentini mutamenti d'umore e d'interesse. Facile così, per il lettore, smascherarne le apparenti contraddizioni. Ma i discorsi del fratello Sergej, l'intellettuale, per quanto chiari, lineari, condivisibili, sono pura teoria: è Konstantin che - nonostante tutto - agisce. E pur partendo da principi magari errati, poco democratici, si rivela via via più aperto al cambiamento di quanto non lo sia l'intransigente fratello, che parla del popolo russo come fosse pura astrazione.
Proseguo con la quarta parte.
A me sembra che Karenin non abbia nessuna voglia di affrontare il problema dell'adulterio di Anna, con un duello, prima di tutto perché è un pusillanime, e forse anche un po vigliacco, in secondo luogo perché non rientra nella sua mentalità e non pensa minimamente da uomo di "scrivania" di affrontare un simile problema con un duello, Inoltre mi pare un uomo molto poco passionale, basterà leggere più avanti quando si parla del suo matrimonio con Anna. Karenin viene ricattato e obbligato quasi a sposarla, costretto, mi pare da una zia di Anna. Quindi è un uomo che si è sposato contro la sua volontà. Figuriamoci.
In quanto a Levin Konstantin, mi pare che rappresenti l'uomo "nuovo" rispetto al fratello intellettuale che parla di un popolo da "liberare" e da istruire. Konstantin è l'uomo del presente che pensa al futuro, è lo sperimentatore, colui che non ha una ricetta in tasca per far andare le cose. Kostantin è l'uomo del coraggio, l'uomo che si interroga seriamente partendo dalla realtà, quella dei campi, che lui vuol rendere produttivi per sfamare il mondo degli affamati. C'è scritto nelle pagine nelle quali lui ragiona sugli interessi dei proprietari e sugli interessi dei lavoranti. I due interessi devono combaciare, affinché la terra possa essere lavorata e dare i suoi frutti. Levin dice chiaramente che i lavoratori sono tanti, ci sono molte braccia, come pure molta terra, questo è il problema di Tolstoj.
Non mi pare che Levin assomigli
Minimamente al Pierre di "Guerra e Pace" personaggio molto diverso, pieno di complessi e di strane fantasie, alla ricerca non solo di se stesso, ma della sua anima, e non solo della sua, ma della "verità" con la A maiuscola. Un personaggio davvero strano che solo alla fine si riscatta come uomo.
Tolstoi, a differenza di Dostoevskij non ci presenta subito il suo personaggio, lui preferisce farlo dipanando piano piano una matassa di un filo di lana variopinto. Quello che un personaggio sembra oggi, domani sembrerà diversamente. I suoi personaggi crescono giorno dopo giorno, come se fossero in fase ancora "
evolutiva" i suoi personaggi
non sono statici, maturano, evolvono o involvono. "Giudicare l'opera a metà dell'opera" è un grosso errore.
A me pare così, mi sbaglierò anche, ma trovo che l'interesse della lettura condivisa, sia appunto la capacità di discutere, di porre la propria tesi, di metterla sul tavolo e farla girare, vagliare, criticare, altrimenti diventa un discorso dell'assurdo alla Samuel Bechet, che è poi diventato oggi abbastanza frequente, ognuno marcia sul proprio binario e non pare interessato ad uscirne.
Questo è uno dei motivi che mi fanno rimpiangere altre letture condivise nel passato, qui al CDL, come "Ritratto di signora" e "Lolita" letture che mi hanno veramente emozionato, e mi hanno fatto sentire il piacere di appartenere a un gruppo di discussione
condiviso.
Io credo che si può dire di tutto, ma penso che bisogna sempre essere disposti a cambiare idea anche un minuto dopo aver espressa la propria, se il mio interlocutore, ha messo avanti dei buoni motivi per farmi cambiare. E comunque, il dubbio e sempre meglio di una certezza sbagliata. I lili della trama dell'ordito non possono venire annodati che non alla fine dell'ultima riga di un romanzo che si rispetti.