Dopo un lungo blackout, torno a leggere ed a lasciare un breve commento relativo ai primi 15 capitoli di questo romanzo, partendo dalla traduzione.
Ho letto con interesse le raccomandazioni di Pier al riguardo e dell’invito a ricorrere – se possibile - all'edizione più recente: quella a mia disposizione tuttavia è Garzanti, e dunque presumo di stare leggendo la versione di P. Zveteremich, che al momento mi soddisfa pienamente. Ma come sempre, quando trattiamo di quest’argomento, resto perplesso sulle nostre capacità di comuni lettori di saper giudicare con cognizione di causa.
Leggo che la sfida di Claudia Zonghetti sarebbe stata quella di modernizzare il linguaggio tolstojano, semplificando la sintassi ed evitando le ripetizioni presenti nell’originale. Ma tra le molte lodi ricevute, il lavoro di Zonghetti ha suscitato pure qualche critica: ad esempio quella di Paolo Nori, che partendo dal famoso incipit stronca subito la nuova versione ( 
    Anna Karenina Archives - Pagina 2 di 2 - Paolo Nori
 ):
«Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a modo suo».
"
E ho avuto un’impressione strana - osserva Nori - come se mi mancasse qualcosa; sono poi andato a verificare l’originale e ho trovato che Tolstoj scrive: «Vse sčastlivye sem’i pochoži drug na druga, každaja nesčastlivaja sem’ja nesčastliva po-svoemu», dove sem’ja significa famiglia, sčastlivye significa felici, nesčastlivaja significa infelice; sono poi andato a vedere la mia vecchia edizione italiana, di Anna Karenina, quella tradotta da Pietro Zveteremich e pubblicata da Garzanti, e ho trovato che dice: «Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». E qui a me è sembrato di ritrovare l’architettura sonora, se così si può dire, della frase di Tolstoj, con quella ripetizione finale di infelice che a me sembra capitale, nell’economia della frase e che la Zonghetti, non si capisce bene perché, elimina. 
I romanzieri russi, a sentire Dostoevskij, vengono tutti «dal Cappotto di Gogol’», e c’è un celebre studio di Boris Ejchenbaum che dimostra come Gogol’, le parole, le scegliesse per il suono, e così faceva probabilmente anche Tolstoj e se Tolstoj, dopo dodici successive stesure, ha deciso di usare più volte, nella prima pagina del suo romanzo (e anche nelle pagine successive), la figura retorica e fonica della ripetizione, che senso ha correggere questo romanzo come se fosse un tema di seconda media?"
Ora, confrontando le due versioni, anch’io tendo a preferire la traduzione di Zveteremich. Ma non perché conosca il russo, ma per una pura questione di orecchio, di suono, di musicalità. E' però filologicamente corretto questo approccio? Non lo so: per altre frasi, e per lo stesso motivo, mi potrebbe anche accadere di trovare più consona la versione di Zonghetti, e forse un giudizio più puntuale lo si potrebbe avere raffrontando passo passo entrambe le traduzioni, e quelle che pure le hanno precedute. Ma non mi sembra certo il caso.
Ecco perché direi di non lasciarsi troppo influenzare dal timore di non aver scelto la traduzione “giusta” : perché non siamo assolutamente in grado di sapere quale sia. E per lo stesso motivo sono anche d'accordo con Zia Betty quando chiede "ma perché si dovrebbero evitare ottocentismi in un libro che è stato scritto nell'Ottocento?" : stiamo pur sempre leggendo un classico, ed una patina "vintage" certo non stona. Altrimenti, se lo scopo fosse solo quello di dare una rinfrescata al linguaggio ed eliminare gli arcaismi, tanto varrebbe rivisitare pure i classici italiani. 
Detto questo, il romanzo a me sta piacendo. In realtà la mia sarebbe una rilettura; ma vent'anni dopo, scopro di ricordare poco o nulla. Forse perché allora non ero rimasto granché soddisfatto del libro: temo infatti le famose (e spesso noiose) digressioni tolstojane, che qui fortunatamente ancora devono arrivare. Sui personaggi mi sembra poi ancora presto per esprimersi: sto però imparando ad apprezzarli tutti, ognuno per com'è fatto e per come è descritto. E mi ha colpito il commento di Nautilus e di chi non s'è lasciata affascinare da Levin: in realtà, per la sincerità e la purezza dei sentimenti, sarebbe forse anche l'uomo ideale; ma non sono certo questi i tipi che possono tenere in piedi un romanzo