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Lingua madre di Maddalena Fingerle ha vinto la 33esima edizione del Premio Calvino ed è stato di recente pubblicato da Italo Svevo Edizioni nella sua collana Incursioni.
Un padre muto che cosparge casa di etichette, una madre ingombrante che ha sempre qualcosa da ridire, una sorella stronza che quando era bambino gli ha insegnato le lettere sbagliate: Paolo Prescher cresce ossessionato dalle parole e cerca la propria identità. Ma non è affatto semplice; non solo perché cresce in un contesto linguistico ibrido come quello dell'Alto Adige, ma anche perché ci sono le "parole sporche" – di cui il nome del protagonista è l'anagramma – da lavare via e un dolore profondo, dal quale non riuscirà mai a liberarsi.

 

Cos'è, Maddalena, la lingua madre? Quanto ha a che fare con il concetto tutto tedesco di Heimat?
La lingua madre è la lingua che si apprende dai genitori, quella nella quale si impara a pensare e in cui ci si dovrebbe sentire a proprio agio e a casa. In questo senso si collega al concetto tedesco di Heimat. Per il protagonista di Lingua madre, in cui la narrazione si apre e si chiude con la madre, la lingua madre, l'italiano, ha un ruolo fondamentale nella ricerca identitaria. Questa avviene attraverso il linguaggio, che si lega alla madre e alla città in un mescolamento di piani mosso dal dolore e dal fastidio nei confronti dell'ipocrisia.

Paolo Prescher, il protagonista, è ossessionato dalle parole. Da dove nasce l'idea che ci siano parole sporche e parole pulite?
L'idea nasce da una suggestione: avevo questa immagine in testa di un personaggio che si doveva lavare in maniera ossessiva sotto la doccia e non capivo ancora perché lo facesse. Avevo bisogno di qualcosa che lo sporcasse fisicamente ma che fosse abbastanza forte da poter diventare un'ossessione. Doveva essere quindi qualcosa che si potesse amare e odiare profondamente e il linguaggio, le parole, mi sembravano adatte a una simile dicotomia.

In una recensione molto bella Lingua madre viene definito come "una storia da cui non è possibile uscire illesi". Vale anche per te che la hai scritta?
Bellissima domanda! Credo e temo di sì, ma me ne sto accorgendo solo adesso. Mentre la scrivevo ero troppo presa dalla scrittura e dalla ricerca del controllo ritmico, dalla mimesi linguistica e dalla voce del personaggio per capire quello che stavo provando. Ho scoperto dopo aver scritto che quell'odio e quella rabbia che cercavo a livello di scrittura non mi erano estranei, per esempio.

Qual è la tua parola pulita preferita?
Io, per fortuna, non divido le parole in pulite e sporche. Ma ce ne sono tantissime che mi piacciono e spesso dipende anche dalla pronuncia, dalla voce, dalla cadenza e dalla persona che la dice. Amo come mio marito dice Globus o come mia madre dice monnezza, per esempio. Mi affascinano parole come rogna, sguaiata o involare. Mi sciolgo quando sento l'accento romanesco, napoletano, toscano. Ammazza, marò, cacacazzi, per esempio. Con un ammazza la frase assume subito una potenza che altrimenti non avrebbe, un complimento diventa credibile, un rimprovero agghiacciante. E poi mi piacciono da morire le voci forti, riconoscibili.

Tu, come Paolo, sei bolzanina e uno dei nodi tematici di Lingua madre è proprio la realtà linguistica dell'Alto Adige. Qual è il tuo rapporto con la tua città d'origine e con le due lingue, visto che sei italiana ma vivi da molti anni in Germania?
A Bolzano non mi sono mai sentita a casa, linguisticamente: il dialetto sudtirolese allora non lo capivo e l'italiano che si parlava lì mi sembrava molto diverso da quello di mia madre – teorico, filosofico – e quello di mia nonna, molto attenta alla dizione, con un accento di Roma. Credo che la divisione, e quindi la convivenza senza la comprensione linguistica – mi abbia portato a sviluppare una specie di insicurezza. Ho spesso paura di non capire quello che sento e che leggo, ma anche di esprimermi male, per iscritto e a voce, infatti ho la tendenza a soffermarmi sul dettaglio, che amo: sulle singole parole, sulle singole lettere, sulla dizione e sulla pronuncia. È stato solo dopo il Calvino che ho conosciuto anche una Bolzano di lingua tedesca ed è stato davvero molto bello parlare per la prima volta in tedesco, a Bolzano, e non a scuola. È da settembre che non ci vado, però, e ora mi manca, Bolzano. Mi manca proprio l'Italia, in realtà: vorrei entrare in libreria, in edicola, vedere che ciò che sta succedendo è vero e non me lo sto solo immaginando. E poi, ovviamente, mi mancano le persone che ci vivono. E la radio, ascoltare le voci radiofoniche direttamente dalla radio è una delle poche cose che davvero mi fa sentire a casa.

Lingua madre ha vinto la 33esima edizione del Premio Calvino: come è andata? Consigli questa esperienza a un esordiente?
Ancora faccio fatica a capire che è successo per davvero, ho passato i primi mesi pensando fosse uno scherzo e poi che fosse un errore, e non è una posa: ci credevo per davvero. La distanza non ha aiutato, in questo. Come è andata? Oddio, non sono mai stata in una lavatrice, ma è l’immagine più vicina che trovo all'ubriacatura mentale che è stata questa meravigliosa esperienza. Ho trovato un'enorme accoglienza professionale e umana, un'attenzione, una correttezza che solo a pensarci mi viene da sorridere inebetita. Non consigliarla sarebbe da pazzi, certo che la consiglio!

Qual è il tuo libro del cuore e quale hai al momento sul comodino?
L'Adone di Giovan Battista Marino! Che non è affatto noioso, ma divertente e sorprendente. In realtà non ho un comodino, lo ammetto, ma sto leggendo Rondini sul filo di Michele Mari, con tempi di lettura dilatati che mi sorprendono e a cui non sono abituata.

(articolo a cura di Elisa Occhipinti)

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