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"Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi."

Massimo Gramellini, scrittore e giornalista torinese, ha pubblicato nel 2012 il romanzo Fai bei sogni, un successo senza precedenti da cui è stato tratto l'omonimo film con Valerio Mastandrea. Non ha potuto quindi farsi scappare l'occasione di dargli una rispolverata con una nuova edizione, dieci anni dopo. Con nuovi capitoli e piccoli "aggiusti" Gramellini ci ha fatto ricordare di una storia intensa, commovente e terapeutica: la sua vita. Il romanzo è un'autobiografia che racconta uno dei dolori più grandi: la perdita di una madre. La sua morì suicida e questa è una verità che il piccolo Massimo ha scoperto solo da adulto dopo troppi silenzi, frasi lasciate a metà e una vita fatta di inadeguatezza e mancanze.

Terapeutico: per Gramellini lo è stato scriverlo, per noi lettori lo è leggere questo libro. Dopo una vita in lotta con la verità, una verità rincorsa ma anche allontanata tante volte, l'autore non poteva che scrivere un libro pieno della sua nemica per troppo tempo, diventata poi la sua più grande complice. Anche senza aver subito una perdita del genere è facile immedesimarsi e rivedersi in Massimo: la sua battaglia con i propri demoni, le domande (che "sono le nemiche numero uno della felicità"), l'assillante ricerca di risposte, le scelte sbagliate, i sogni e i desideri, la paura e il coraggio. Potremmo definirlo un "romanzo di formazione" perché dà insegnamenti che la vita impiega anni e dolori per insegnarci. Verità è sinonimo di libertà, senza l'una non si può avere l'altra e forse è questo il precetto più importante che Gramellini vuole trasmetterci. A cosa serve nascondere la polvere, anzi la verità, sotto al tappeto? A cosa serve rintanarsi nel cinismo? A cosa serve chiudersi se poi, pur di sentirci impenetrabili, finiamo per non vivere davvero? "Perché se esiste un peccato grave è non aver vissuto."

In Fai bei sogni, dieci anni dopo c'è ancora più accettazione del dolore, di un dolore che fa parte di noi volente o nolente. A dieci anni di distanza impariamo che anche i dolori più grandi si cicatrizzano, che andare avanti è possibile anche davanti a quelle che consideriamo le ingiustizie più "immeritate". Solo con una maturità maggiore Gramellini può aggiungere che "[…] il dolore è qualcosa che ci capita addosso non per sfortuna, ma per concederci l'opportunità di conoscere la parte irrisolta di noi." Anche nell'Epilogo troviamo una novità: una lettera indirizzata a Madrina, colei che svelò la verità a Massimo. È con questa lettera che si sottolinea per l'ultima volta l'importanza della verità: solo attraverso essa siamo liberi, liberi di guarire, di acquistare controllo e conoscenza del proprio Io. Di certo la paura di scoprirla è legittima ma "[…] la paura uccide sempre l’amore" così come le bugie, l'arrendevolezza o la fuga. Scappare da ciò che siamo, da una verità interiore che urla d'essere ascoltata è inutile perché "Se un sogno è il tuo sogno, quello per cui sei venuto al mondo, puoi passare la vita a nasconderlo dietro una nuvola di scetticismo, ma non riuscirai mai a liberartene. Continuerà a mandarti segnali disperati, come la noia e l'assenza di entusiasmo, confidando nella tua ribellione."

(articolo a cura di Sveva Serra)

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