Lettore, si prospetta un viaggio – o pellegrinaggio, che forse è un termine più adatto. Perché nel tema di oggi c'è qualcosa di sacro, si parlerà di una letteratura tautologica, che afferma se stessa. Di una letteratura sacra.
Roberto Calasso è morto da due anni. Ne aveva poco più di ventuno quando, assieme a Roberto Bazlen, assisteva alla nascita di Adelphi, nel 1963. Era un editore, Roberto Calasso. E il suo essere editore è sempre stata parte integrante del suo Io autoriale.
Laureato in lettere, allievo di Mario Praz, Calasso sanguinava parole e mitologia. Scrutare il catalogo Adelphi è, in un certo senso, mettere a nudo il tessuto dei suoi pensieri. Chi affonda lo sguardo nelle sue opere, come in quelle di Calvino, povero lui, il maelstrom di mille e mille narrazioni lo risucchierà senza pietà. Calvino, d'altronde, apprezzava Calasso.
Non esiste un vero e proprio libro di Roberto Calasso. C'è casomai una ghirlanda di storie e pensieri, una trama che si estende dagli anni Ottanta ad oggi, che la morte ha bruscamente interrotto e che la necessità editoriale ha suddiviso in undici volumi accecanti e un numero sparso di saggi che li attorniano. Un'opera ambigua, che sfugge a ogni tentativo di classificazione e che fa disperare i bibliotecari e i dipendenti delle librerie, nonché coloro che quei testi li stanno cercando tra gli scaffali.
Negli articoli che seguiranno a questo, uno per libro, si percorreranno le tappe di questo flusso che chiamano "l'Opera senza nome", o "l'Opera in corso". Sia tu, Lettore, a chiamarla come ti pare.
Ma prima, qualcosa da sapere. Elena Sbrojavacca, che sulla produzione calassiana si è laureata, raccomanda al nuovo arrivato di leggere innanzitutto La letteratura e gli dèi, del medesimo autore. Si può dire che l'intera "Opera senza nome" esista per intero nelle centoottantatré pagine di questa antologia saggistica del 2001. Centoottantatré pagine, a fronte di più di tremilacinquecento.
Lo abbiamo fatto, l'abbiamo letto. Sarà l'assaggio che precede l'abbuffata.
Otto capitoli, otto lezioni tenute dall'Autore presso l'Università di Oxford nel 2000, volte tutte a costruzione di una struttura di pensiero coerente. Come Calvino nelle Lezioni americane – pensate, queste, per Harvard – Calasso parte dagli autori che ama: Baudelaire, Lautréamont, Hölderlin, Nietzsche, Mallarmé. C'è spazio per i Greci, c'è spazio per l'India vedica. E se gli antichi filosofi, dovendosi confrontare con la persistenza del mito, avevano dovuto riconoscervi una Verità celata a chi non fosse stato predisposto a coglierla, così Calasso si serve della poesia per esemplificare un discorso altrimenti complesso.
Gli dèi, ci dice l'autore, sono tornati tra noi. Prima che la nostra civiltà involgarisse, essi ci erano noti. Negli dèi si dava corpo a eventi e stati mentali ineffabili. In seguito – il razionalismo del Settecento francese è "il cavo più profondo dell'onda" (La letteratura e gli dèi, nel saggio Acque mentali, p. 34) – il sociale ha soppiantato il sacro e gli dèi, o meglio il divino, è stato bandito. Nell'epoca industriale prima e globalizzata poi, tutto è sacrificato sull'altare della Comunità, sia essa Stato o social network. Il trionfo dell'Illuminismo, che non accetta nulla che non sia spiegabile, si affanna a inquadrare ciascun fenomeno in una cornice fragile, che una teoria successiva può smontare e ricomporre di volta in volta. Perché la conoscenza, ricorda Calasso, è una sovrastruttura, non è oggettiva. È questo il maggior trauma dell'epoca post-moderna, scombussolata da guerre mondiali, punti di vista differenziati e dispersione dei grandi ideali – e qui, chi lo vorrà, potrà leggersi Jean-François Lyotard. "Innominabile attuale" è il nome che l'editore di Adelphi dà al mostro che ci ha ingoiati.
Ma gli dèi sono per loro stessa natura immortali. Banditi ma non morti, tornavano dapprima nella verve del Romanticismo tedesco e, successivamente, nel Decadentismo parigino. E così, sbrogliando un filo che scorre dal panismo di Hölderlin all’ironia estatica dei Canti di Maldoror di Lautréamont, fino al dionisiaco decantato da Nietzsche, Calasso battezza tutto ciò "letteratura assoluta", "se con ciò si intende la letteratura nella sua forma più acuminata e intollerante di qualsiasi bardatura sociale" (La letteratura e gli dèi, nel saggio La Scuola Pagana, p. 28). Gli dèi, che mai furono portatori di morale, tornano nel mondo in forma demonica e parlano per bocca dei poeti maledetti. È una parola ironica, crudele, quasi satanica, epperò viva. E come si richiede all'arte, non ha altro scopo che se stessa.
La letteratura? Divinità. L'ultima forma di sacralità che ci è concessa e che Calasso, come una sibilla, si sforza di catturare nel castello di carta dell'"Opera senza nome": un caleidoscopio di mitologia indefinita, che al saggio intreccia la favola e all'analisi il lampo di una frase lapidaria.
La rovina di Kasch (1983)
Le nozze di Cadmo e Armonia (1991)
Ka (1996)
K. (2005)
Il rosa Tiepolo (2006)
La Folie Baudelaire (2008)
L'ardore (2010)
Il Cacciatore Celeste (2016)
L'innominabile attuale (2017)
Il libro di tutti i libri (2019)
La Tavoletta dei Destini (2020)
Sì, ma di cosa parla, in definitiva, l'Opera di Calasso? Di dèi.
Lettore, si prospetta un viaggio. Parteciperai?
Bibliografia
- Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi, Adelphi, 2001
- Elena Sbrojavacca, Letteratura assoluta. Le opere e il pensiero di Roberto Calasso, Feltrinelli, 2021
(articolo a cura di Sharon Tofanelli)
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