Ho fatto anch’io nuove scoperte

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De
Il diavolo in corpo, di Raymond Radiguet, ne avrete già sentito parlare: secondo alcuni, un classico dell’erotismo. Definizione alquanto limitante, a mio parere, e persino impropria.
Certo, il libro – all’epoca (1923) – fece scandalo, narrando – con una certa delicatezza, ma anche senza troppi fronzoli - la relazione tra l’adolescente Francois e la giovane Marthe, sposata con un soldato al fronte nella Prima Guerra Mondiale.
Poco romanticismo, tanta passione, soprattutto carnale (il “diavolo”, per l’appunto): ma pur sempre amore, per quanto raccontato e vissuto da un punto di vista prettamente maschile, spesso cinico, egoista e sostanzialmente immaturo, come del resto il titolo con cui il romanzo apparve inizialmente,
Coeur vert (Cuore acerbo), starebbe opportunamente ad indicare.
Non ho voluto appurare quanto d’autobiografico vi fosse, in questa esperienza raccontata in prima persona: quel che so è che l’Autore visse nella Parigi degli anni Venti, circondato dai maggiori esponenti dell’arte d’avanguardia (dadaisti, surrealisti, poeti “maledetti” …), tra cui Jean Cocteau, l’intellettuale più in vista del tempo, che con Radiguet instaurò una relazione non solo amichevole.
Poeta, saggista, drammaturgo, disegnatore, librettista, attore e chissà cos’altro ancora, Cocteau deve la sua fama di romanziere a
I ragazzi terribili (1929), composto in pochi giorni durante la sua permanenza presso una clinica di Saint-Cloud, dove era ricoverato per liberarsi dalla dipendenza dall’oppio.
Libro strano, questo, che per certi versi mi ha ricordato il film di Bernardo Bertolucci,
The dreamers (ispirato però ad un altro racconto) e strutturato come un’opera teatrale. Protagonisti due ragazzi, fratello e sorella, orfani di genitori e strettamente legati da un rapporto ambiguo, possessivo e quasi morboso, in cui vengono coinvolte – fino ad esserne travolte – le vite di altri due loro coetanei.
Più che un romanzo, una tragedia nel senso più classico del termine: “Cocteau, infatti, attraverso la lettura ci conduce a teatro. Crea atti e scene, ci pone di fronte a sipari che si aprono e chiudono, mostra cambi di luce, pause e movimenti tipici degli attori sul palcoscenico”.
Non è facile cogliere il senso profondo di un’opera che certamente - nelle allusioni, nelle espressioni e nel ritmo stesso della narrazione - non è estranea alla relazione con la droga. Si potrebbe però interpretare come un inno - inquietante e allo stesso tempo poetico - all’adolescenza, “un periodo devastante, non roseo, trascorso nella continua ricerca di un’altra dimensione, di un universo nel quale vivere i propri desideri, i propri sogni, le ossessioni dell’ego e la scoperta dell’amore”.
Ma, come vedete, devo ricorrere alle parole altrui per chiarire le mie impressioni. Che rimangono confuse, perché se la lettura è apparentemente facile e scorrevole, la comprensione si rivela assai più faticosa e complicata. Ma alla fine gli sforzi vengono ricompensati da una sensazione di sorpresa. Sì, perché è bello scoprire - dopo tante letture accumulate - che un romanzo ci può ancora sorprendere.