Non sempre capita di condividere l’impressione, pur avendo condiviso il libro, e l’esperienza insegna che con
Il grande Meaulnes a me capiterà spesso. Possibile che sia io, a scorgervi quel che in realtà non c’è? E cosa avrebbe poi, questo libro, di tanto speciale?
Sfaterei anzitutto un mito, o meglio, un pregiudizio: che sia (solo) per ragazzi. Il fatto che venga spesso catalogato come tale e consigliato come lettura alle scuole medie equivale al pensare che la
Divina Commedia o
I Promessi Sposi siano semplicemente testi per studenti liceali. E del resto, tra i nostri Libri del Mese, non figurano forse titoli quali
Canto di Natale,
La storia infinita e
La piccola Fadette, proposti, votati e almeno in parte anche molto apprezzati da lettori ormai cresciuti? Per quanto concerne
Il grande Meaulnes, lo lessi una prima volta, alla soglia dei trent’anni: a 13 (o 15), probabilmente, non avrebbe assunto lo stesso significato.
Altro preconcetto, a mio avviso, è che si tratti di un romanzo di formazione, perché qui la crescita, la maturazione, non sono percepite come una conquista, bensì come una perdita. Una perdita dolorosa e incolmabile, certo, che però non può essere compensata o fugata dalla semplice reiterazione di comportamenti infantili (tra Meaulnes e Peter Pan c’è una bella differenza) e che può essere invece alleviata - ma per altri versi anche acuita - dall'esercizio del ricordo.
Proprio il sentimento nostalgico legato a ricordi lontani, che improvvisamente riaccendono un’eco nel presente, è ciò che accomuna
Il grande Meaulnes ad un’opera ben più corposa e famosa, curiosamente pubblicata in Francia nello stesso mese dello stesso anno: novembre 1913. Mi riferisco a Proust e alla sua
Recherche. Altro spessore, certamente, ma stessa elegia (e ricorro appositamente a questo termine, per alludere ad una prosa altamente poetica ed evocativa) del tempo perduto.
Il tempo perduto è quello della giovinezza, e degli ideali ad essa connessi. Eppure, paradossalmente, “questo libro è sempre giovane”, scrive Blache-Francesca: ed io mi sento di concordare con questa bella definizione. Perché ogni volta, rileggendolo, riesco – non solo con la mente - a far ritorno ad una mitica età dell’oro forse mai vissuta con piena consapevolezza, ma che in ogni caso mi appartiene. Ed è certamente questa forte componente soggettiva a rendermi particolarmente caro questo libro. Tanto caro, da rendermi anche geloso: in fin dei conti, che la strada che porta al Dominio Misterioso possa rimanere ad altri sconosciuta, non mi dispiace affatto

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